Ente Morale D.L. 5 aprile 1945, n. 224

Ente Morale D.L. 5 aprile 1945, n. 224
MAIL: anpigenovapra869@gmail.com - TEL: 3463002468

approfondimento:

QUANDO ERANO GLI ITALIANI AD EMIGRARE – parte prima

NOVECENTO
Fra gli ultimi vent’anni del XIX secolo e i primi del XX secolo, furono milioni gli italiani che scelsero la via dell’emigrazione come tentativo di miglioramento della propria vita. In particolare, alla fine dell’Ottocento, l’Italia, da poco unita, era un Paese nel quale le diseguaglianze sociali, l’analfabetismo e la miseria la facevano da padrone. L’agricoltura e l’industria erano concentrate nelle mani di grandi proprietari e capitalisti che avevano mano libera nello sfruttare la manodopera e le famiglie molto spesso pativano addirittura la fame e gli stenti. Di fronte a tale quadro, il miraggio di rifarsi una vita come operai o agricoltori nelle Americhe (nord e sud) spinse, come si è detto, milioni di persone ad emigrare. Come accade oggi, sugli emigranti si costituì una vera e propria rete di interessi legali e non, a partire dalle grandi agenzie proprietarie delle navi, sino agli uffici che emettevano i vari permessi necessari all’emigrazione, passando per gli sfruttatori nei Paesi ove giungevano, molto spesso gente senza scrupoli che trattava i nostri emigrati come bestie.

LE ROTTE DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA
Un emigrante italiano che desiderava partire, doveva in primis fare il passaporto, quindi presentarsi agli uffici di imbarco e fare il biglietto, il cui costo per una persona povera equivaleva spesso a giocarsi tutti i risparmi. Una volta ottenuti i permessi, l’emigrante e la sua famiglia venivano caricati a bordo di grosse navi che facevano le tratte atlantiche a partire dai porti di Genova e Napoli (poi, dopo il 1918, anche Trieste); le condizioni di vita sulle navi erano assai dure, anche perché i biglietti che si potevano permettere gli emigranti non erano certo di prima o seconda classe, bensì di terza classe, ed essi si trovavano praticamente rinchiusi nelle stive delle imbarcazioni, luoghi malsani nei quali la possibilità di contrarre malattie di ogni genere era all’ordine del giorno.
I viaggi potevano essere vari: vi era chi sceglieva la rotta verso il sud America (Brasile, Argentina, Cile), dove lo attendeva un durissimo lavoro come bracciante agricolo, spesso relegato letteralmente in mezzo alla foresta, dove giungeva dopo giorni di marcia durissima e da cui, qualora avesse ripensato di tornare, era pressoché impossibile muoversi, date le distanze immense fra le città, i villaggi, i porti d’imbarco.
Altri tentavano di far fortuna in America centrale, soprattutto in Perù, dove molti italiani si trovarono ad esercitare il lavoro di minatori in sperduti villaggi delle Ande, a migliaia di metri d’altitudine, isolati dal resto del mondo.
Chi sceglieva invece la rotta verso gli Stati Uniti incontrava diverse, ma pur sempre gravi, difficoltà: giunto a New York dopo due- tre settimane di viaggio, l’emigrante non poteva liberamente sbarcare sulla terra americana, ma era costretto a fermarsi per 40 giorni a Ellis Island, un’isola in cui, come in un campo di concentramento, venivano selezionati gli immigrati abili al lavoro e rimandati indietro quelli ritenuti inabili. Se era “fortunato”, una volta ottenuto il permesso di soggiorno negli Stati Uniti, l’emigrato poteva trovare vari lavori durissimi e mal pagati: dal lavoro come portuale, a quello come operaio o minatore, oppure, nei casi più fortunati, poteva mettersi in proprio, aprendo piccole attività che, nei casi migliori, potevano anche garantire un’ascesa sociale ed un certo guadagno.
Ovunque giungessero, gli italiani erano malvisti, considerati spesso come animali o subumani. Ovunque essi venivano sfruttati e discriminati, tanto che negli Stati Uniti agli inizi del Novecento “italiano” era diventato sinonimo di “poco di buono”, persona ignorante, che non si lava e che non si integra…Insomma, tutti i pregiudizi e gli stereotipi che subiscono oggi in Italia gli immigrati. In certi casi, gli episodi di razzismo contro i nostri connazionali, accusati di “portare via il lavoro agli americani” e di essere dei criminali, portarono a linciaggi o condanne sommarie, come accadde a Tallulah, nel sud degli Stati Uniti, dove cinque poveri italiani, dapprima incarcerati in quanto “colpevoli” di aver reagito all’uccisione di una loro capra da parte di un cittadino statunitense, vennero prelevati dal carcere dalla folla inferocita e vennero impiccati.

QUANDO ERANO GLI ITALIANI AD EMIGRARE -parte seconda

I Paesi extraeuropei non erano la sola sede in cui emigrare: accanto ad essi, molti Italiani scelsero l’emigrazione in Francia .
La Francia, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, diviene abituale terra di migrazioni stagionali per le popolazioni dell’arco alpino occidentale, le quali erano solite recarsi in Costa Azzurra per dedicarsi ad attività di piccolo artigianato e, talvolta, per chiedere l’elemosina ai facoltosi villeggianti inglesi che venivano a svernare nelle lussuose località costiere. Dopo aver valicato i confini, spesso in clandestinità, lungo quella che era conosciuta come “la via di Vernante” (la stessa strada fu percorsa anche dai rifugiati politici perseguitati dal fascismo, come racconta Giorgio Amendola in “Lettere a Milano), un difficile sentiero che valicava le Alpi all’Argentera, in provincia di Cuneo, gli emigranti, nella totalità dei casi poveri contadini di montagna malnutriti e poverissimi, si affidavano letteralmente al buon cuore di chi li incontrava, sperando così di racimolare quel poco di denaro in grado di innalzare lievemente il misero tenore di vita delle vallate alpine piemontesi.
Accanto a tale migrazione per piccoli gruppi, si sviluppò ben presto anche un’emigrazione stagionale di massa diretta sempre nel sud della Francia, dove nelle cave di sale venivano impiegati moltissimi nostri connazionali; ben presto, le tensioni fra immigrati italiani in Francia e lavoratori francesi aizzati dalla solita propaganda xenofoba, esplosero: gli Italiani “portavano via il lavoro”, “erano delinquenti”, “erano per natura semibarbari” e via di pregiudizio in pregiudizio, tanto che nell’estate del 1893 ad Aigues Mortes, dopo una banale lite fra lavoratori italiani e lavoratori francesi, “grazie” ad una bufala diffusa ad arte fra la gente, secondo la quale i lavoratori italiani si sarebbero resi responsabili di alcuni omicidi, una folla inferocita uccise18 nostri connazionali e ne ferì 150 (anche se le stime restano tuttora approssimative). Nonostante ciò, le forze dell’ordine francesi intervenirono soltanto 18 ore dopo la strage, lasciando sostanzialmente mano libera agli xenofobi.
Un altro itinerario migratorio francese seguito dai lavoratori italiani era quello che portava alle miniere nel nord del Paese: in alcune miniera in Lorena, ad esempio, gli italiani costituivano sostanzialmente il 50% della manodopera: essi -soprattutto i sardi- erano molto richiesti in quanto, date le condizioni di miseria in cui vivevano, erano disponibili a ritmi di lavoro gravosissimi. Per queste persone, lo stesso lavoro che significava reddito magro, equivaleva anche a morte certa anzitempo a causa di malattie polmonari come la silicosi.
Ai padroni francesi e allo Stato italiano conveniva sfruttare questi lavoratori: nel 1916 il Governo italiano stipula con quello francese un accordo col
quale, in cambio di manodopera, l’Italia avrebbe ricevuto quantitativi di carbone in base alla produttività dei suoi emigranti. Come vedremo, tale modalità sarà usata dai governi italiani sino agli anni Sessanta del Novecento.
Alla fine della seconda guerra mondiale, quando il Paese, ridotto allo stremo, avvia la sua ricostruzione, le emigrazioni di massa verso i Paesi europei conoscono un nuovo picco: oltre alla Francia, gli Italiani, non solo del sud, si avviano verso la Svizzera, il Belgio, la Germania e la Svezia. I governi stessi, al fine di ottenere materie prime a basso costo, si impegnano con protocolli appositi a garantire l’emigrazione di quote di operai verso i Paesi che ne fanno richiesta: a tal fine, il Governo italiano ottiene dalla Banca Mondiale che il nostro Paese sia inserito nella lista di quelli in cui si agevola l’emigrazione. Chi sono gli emigranti del Dopoguerra?
Si tratta soprattutto di minatori, ma non solo: accanto ad essi, fanno le valigie centinaia di migliaia di contadini che scelgono di trasformarsi in operai per potersi garantire un futuro. Partono a migliaia sui “treni della speranza” che, varcando il Sempione e il Brennero, scaricheranno in Paesi ostili uomini strappati alle terre e alle famiglie. Una volta giunti nei luoghi di lavoro, molti di loro verranno avviati in apposite baracche di legno, campi di concentramento volontari in cui gli emigrati erano relegati al fine di tenerli lontani dalle città, da loro viste come miraggi lontani. “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani” stava scritto in molti locali pubblici frequentati dagli stessi padroni che facevano profitti sulla pelle di quei lavoratori misconosciuti e discriminati. Fra tutte le vicende di sfruttamento e alienazione, la più nota universalmente è la tragedia nella miniera Marcinelle in Belgio, ove l’8 Agosto1956, in seguito ad un incendio, muoiono 262 lavoratori, fra cui 139 italiani immigrati.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, i flussi migratori dall’Italia verso i Paesi europei diminuiscono per due ragioni opposte: per il miglioramento delle condizioni di vita nel nostro Paese, a seguito delle grandi conquiste economiche e politiche dei lavoratori, sia perché, con la crisi petrolifera del 1973, i Paesi in cui erano impiegati i nostri lavoratori rimandano indietro una manodopera ritenuta superflua in periodo di crisi economica. Negli anni Ottanta del Novecento l’emigrazione dall’Italia risulta pressoché inesistente e solo negli ultimi anni, a causa della dura crisi economica e delle politiche di tagli ai servizi sociali e di precarizzazione del lavoro, essa torna prepotentemente in scena e ci fa capire una cosa: il benessere, le conquiste sociali, i diritti, non sono mai acquisiti definitivamente; bastano un po’ di anni “storti”, bastano un po’ di governi antioperai, e tutto ciò che si credeva consolidato viene messo nuovamente in discussione. Per questo oggi, quando vediamo arrivare milioni di persone impoverite e alla ricerca di una nuova vita, dovremmo, in quanto italiani con quella storia alle spalle, comprendere non una, ma due volte le ragioni che li hanno mossi; spesso le medesime ragioni che anche ora, mentre sto scrivendo, stanno muovendo giovani disoccupati o precari a lasciare la nostra Patria alla ricerca di una vita degna di essere vissuta.

FONTE: http://www.osservatorionuovedestre.org/?p=2113


Nessun commento:

Posta un commento